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Il Consiglio di Stato pone interamente a carico del SSN le prestazioni a favore delle persone in coma


Merita davvero un commento la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 339 depositata il 26 gennaio 2015.

Si tratta di un altro tassello a tutela della dignità dei disabili, nel caso specifico delle persone in stato di coma e/o vegetativo permanente ma, più in generale, di coloro che ricevono prestazioni mediche ed infermieristiche necessarie per la loro stessa sopravvivenza; indipendentemente che ciò avvenga in struttura residenziale o in ambito domiciliare.

Una signora ricoverata in ospedale per plurime patologie, viene dimessa in stato di coma ed ospitata in una rsa a pagamento. La documentazione indica in modo analitico le prestazioni svolte nella struttura residenziale: “tracheostomia, ossigenoterapia continuativa a lungo termine (3h al dì)… sondino naso-gastrico, gastrostomia(PEG). Catetere venoso centrale o nutrizionale parenterale totale, catetere vescicale”, con codificazione delle patologie in coma, sistema cardiocircolatorio, fibrillazione atriale, sistema urinario incontinenza urinaria”.

A fronte di detta situazione, l’ulss di competenza afferma di essere tenuta ad erogare esclusivamente la quota sanitaria nei limiti di quanto previsto dalla normativa regionale veneta. Il Comune dell’ultima residenza denega la propria compartecipazione ritenendo il caso interamente a carico del SSN.

Il Consiglio di Stato, ribaltando completamente l’esito del giudizio di primo grado, riconosce la prevalenza delle prestazioni sanitarie rispetto a quelle assistenziali, rese in favore di malato in condizione disabile, caratterizzata da gravità e cronicità con conseguente esclusivo impegno economico del servizio sanitario regionale negli oneri di spesa.

Cinque sono i punti importanti della sentenza:

1)    al fine della giurisdizione del Giudice Amministrativo, la situazione soggettiva azionata si qualifica come interesse legittimo in quanto si collega a norme di azione e di indirizzo nella materia dell’ erogazione delle prestazioni di assistenza o di cura, espressione di potestà discrezionale al cui esito resta condizionato l’ammissione al trattamento sanitario o assistenziale e il riparto degli oneri di spesa.

2)  la nutrizione e idratazione artificiale integrano una procedura medica complessa (nella specie effettuata tramite PEG, con intervento invasivo sul malato) da calibrarsi secondo la massa corporea del paziente, le patologie in atto, con continuità di verifica della situazione nutrizionale e metabolica. Il presidio terapeutico è frutto di una specifica strategia medica e permane sotto il controllo di personale specializzato in costante monitoraggio sanitario dell’assistito (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 4460 del 17 luglio 2014). Uguale concorso di personale medico e infermieristico qualificato richiedono le ulteriori prestazioni sulla funzionalità respiratoria, del catetere, di prevenzione e cura di piaghe da decubito e di verifica delle generali condizioni vitali del paziente. Vi sono pertanto stabili e concorrenti presidi medici a salvaguardia delle condizioni vitali del paziente e non meri interventi di sostegno diretti a lenire il disagio e la condizione di bisogno.

3) L’inscindibilità e prevalenza dell’apporto professionale sanitario rispetto a quello assistenziale comporta, ai sensi degli artt. 3 septies, del d.lgs. n. 502 del 1992 e 3, comma 3 del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, la qualificazione degli interventi di cura e assistenza come prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria e, quindi, la riconduzione dei relativi oneri economici nei livelli essenziali di assistenza sanitaria a carico della U.L.S.S. e per essa del Servizio sanitario nazionale

4)    Nessun rilievo puo avere la tipologia dei servizi cui la struttura è abilitata secondo gli standard organizzativi, dovendosi avere riguardo al carattere oggettivo delle prestazioni socio/assistenziali rese (erogabili anche in regime ambulatoriale domiciliare,)

5)  La qualifica di anziano non autosufficiente non esclude che a detta condizione possa associarsi quella più grave di disabile, con effetto sull’emersione di un maggior impegno dei presidi sanitari apprestati.

Per l’effetto il Consiglio di Stato ha annullato non solo la determinazione della U.L.S.S. sui limiti di concorso del S.S.N. nel pagamento della quota di degenza ma, altresì, in parte qua i provvedimenti della Regione Veneto a ciò ostativi.

Ora la signora avrà diritto al rimborso delle rette versate dal giorno del ricovero.

Nel frattempo spiace constatare che la rsa non ha ritenuto di attendere l’esito del giudizio amministrativo, ma ha preferito agire davanti al Giudice Ordinario ingiungendo il pagamento delle rette non versate oltre agli interessi.  Si è quindi aperto un altro fronte giudiziario il cui esito, grazie al Consiglio di Stato, pare scontato.

Avv. Maria-Luisa Tezza