Stampa

Lombardia-Legge regionale n. 2-2012 - Il P.D.L. 66 ora è legge

Il testo completo disponibile qui

 

Il commento di Walter:

 LEGGE REGIONALE 24 febbraio 2012, n. 2

Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 12 marzo 2008, n.3 (Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario) e 13 febbraio 2003, n. 1 (Riordino della disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza operanti in Lombardia).(ex PdL n. 0066)

 

 C O M M E N T O

Il lunghissimo “stazionamento” del PdL in III^ Commissione

La Legge Regionale 24 febbraio 2012, n. 2, che di seguito commentiamo, trae le sue mosse dal Progetto di legge n. 0066, di iniziativa della Giunta Regionale,  lungamente esaminato dalla III^ Commissione Consiliare Regionale.

Infatti, la III^ Commissione aveva ricevuto il Pdl  nel dicembre 2010 e l’ha restituito alla Presidenza del Consiglio, dopo il suo esame, il 9 febbraio 2012.

Le sedute della  Commissione dedicate all’esame del progetto sono state numerose ed altrettanto numerosi sono stati i soggetti “auditi”, appartenenti a diverse realtà sociali ed istituzionali.

L’articolato della Legge è identico a quello licenziato dalla Commissione, ma non è accompagnato dalla relazione esplicativa, con la quale la Commissione ha enunciato  le modalità e le finalità del suo laborioso esame.

Fra l’altro, nella relazione  si sottolinea che le audizioni hanno arricchito il dibattito sul sistema della compartecipazione al costo dei servizi.

Ed è’ proprio su questo sistema che intendiamo incentrare  il nostro commento, per avere ben presenti in quale senso sono previste, con la nuova legge, le modifiche e le integrazioni della precedente legge regionale n. 3/2008.

Si da il caso che la compartecipazione al costo dei servizi rappresenti un interesse fondamentale delle nostre formazioni sociali.

La “rapida” approvazione della legge, senza relazione

Facciamo una premessa: siamo stupiti  dalla scarsa attenzione e dalla assenza di dibattito del Consiglio regionale; ciò, risulta in contrasto con il lungo esame sull’argomento compiuto dalla Commissione.

In secondo luogo, fa  specie che la relazione, con cui la Commissione ha licenziato il Pdl n. 0066, esplicativa dell’articolato di legge, non sia stata “recepita” dal Consiglio.

Ora, In assenza della relazione esplicativa, siamo in presenza di una legge regionale, composta da tre articoli “asettici”, difficilmente intellegibili.

Per converso, qualora le legge fosse stata introdotta dalla relazione, la sua ratio   ed i suoi obiettivi sarebbero stati  compresibili ( condivisibili o meno), anche dalle persone meno informate  e  distratte.

Dunque, il nostro commento parte dalla relazione con la quale è stato licenziato il Pdl 0066.

Le osservazioni critiche alla legge

Partiamo da questa  annotazione: come è detto nella relazione, è vero che  le audizioni in III^ Commissione sono state numerose e ricche di apporti conoscitivi;  in essa, però, non si fa cenno alle prevalenti osservazioni  critiche, mosse da una gran parte dei soggetti intervenuti .

Per esempio, fra i molti, l’intervento dell’avv. Gioncada  è stato particolarmente approfondito sul piano delle argomentazioni giuridiche, avverse all’impianto della legge.

Nella relazione  si afferma che, in istruttoria, è stato prodotto un quadro complessivo della normativa  in materia di welfare, a cura del servizio giuridico del consiglio regionale.

Siamo curiosi di conoscere come tale servizio giuridico abbia potuto  ritenere che la nuova legge regionale non risulti in contrasto con  il regime normativo dello Stato, soprattutto  in materia di Livelli Essenziali di Assistenza.

Altresì, nella relazione viene sottolineato che l’accesso alle prestazioni sociali agevolate, in base al decreto legislativo n. 109/1998, art.3, comma 2-ter (concorso al costo del servizio basato sulla situazione economica del solo assistito), non può essere tradotto operativamente, in quanto manca il DPCM applicativo.

Evidentemente, coloro che hanno fatto queste affermazioni  hanno volutamente trascurato  le sentenze della magistratura amministrativa  (TAR, Consiglio di Stato), nelle quali, univocamente, si afferma il contrario, ovvero che l’art. 3, comma 2-ter è immediatamente precettivo.

Infatti, in un’amplissima  letteratura giurisdizionale, si afferma che la mancata adozione del DPCM da parte del Governo non è tale da pregiudicare l’effettività immediata del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, nei confronti degli anziani non autosufficienti e delle persone con disabilità grave, che attuano percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, a domicilio, nelle strutture diurne e nelle strutture residenziali a ciclo continuativo.

Nella  relazione si aggiunge  che la mancata adozione dell’atteso DPCM avrebbe provocato un vuoto normativo, complicato  da orientamenti giurisprudenziali contrastanti, in sede di giustizia amministrativa e civile.

Il termine “contrastanti” dovrebbe significare che taluni pronunciamenti sarebbero stati favorevoli ai parenti e taluni altri ai Comuni,alle A.S.L….

Anche questa affermazione si presta ad un’evidente obiezione.

In realtà, l’orientamento giurisprudenziale è consolidato nel senso favorevole ai parenti, che si sono sottratti al pagamento della retta e che hanno fatto ricorso alla magistratura, in particolare a quella amministrativa.

In effetti, da quattro anni a questa parte, i vari T.A.R. e il Consiglio di Stato si sono pronunciati con  oltre settanta sentenze ed ordinanze,  tutti favorevoli ai parenti !

Limitando il nostro computo alla Lombardia, questo contenzioso giudiziario ha visto soccombere una quarantina di Comuni.

Inoltre, nella relazione accompagnatoria dell’articolato di legge, si aggiunge che,conseguentemente  al “vuoto normativo”, derivante dalla mancata adozione dell’atteso DPCM, le Amministrazioni Comunali manterrebbero in atto una regolamentazione frammentata, un po’ a favore del parametro ristretto (ISEE del solo assistito), un po’ a favore del parametro ampliato (ISEE familiare).

Per quanto è a nostra conoscenza, soltanto i Comuni che sono risultati soccombenti nel contenzioso giudiziario, si stanno adeguando, “obtorto collo”, alle sentenze della magistratura.

Addirittura, in qualche caso, il Comune ha l’improntitudine di opporvisi.

Abbiamo ben presente il comportamento, tristemente emblematico, del Comune di Cinisello Balsamo, che si sta opponendo ad una corretta applicazione delle sentenze del TAR (sentenza  n. 1487/2010) e del Consiglio di Stato (sentenza n. 1607/2011).

L’esigenza di modificare i regolamenti comunali

A noi risulta, per esperienza diretta, condotta in un rilevante campionario di realtà locali,  che i Comuni della Lombardia,  in senso generale e, comunque, i Comuni non sanzionati, finora, dalla magistratura, erogano le prestazioni sociali agevolate sulla base di regolamenti non  rispettosi dei vincoli posti in essere dalla normativa statale, in materia di Livelli Essenziali di Assistenza.

Gli attuali regolamenti comunali , nei confronti delle persone anziane non autosufficienti e delle persone con disabilità grave, prevedono la chiamata in causa dei parenti, appartenenti o meno al nucleo familiare della persona assistita, nel pagamento delle rette delle strutture residenziali, diurne e a ciclo continuativo (R.S.A., R.S.D., C.S.S., C.D.I.,C.D.D.).

Quindi, la rappresentazione data  dalla relazione, accompagnatoria  dell’articolato di legge non è concretamente riscontrabile ed è priva di fondamento.

Infatti, non esiste una “regolamentazione frammentata”, quale conseguenza dei “vuoto normativo”.

Esiste un accanimento dei Comuni verso i familiari e i parenti degli assistiti. Così comportandosi, l’Amministrazione Regionale e i Comuni cadono in una evidentissima contraddizione.

Da un lato, la Regione intende applicare il “quoziente familiare”, dichiarando di voler mostrare attenzione ai bisogni delle famiglie; dall’altro lato,  applicando nel concorso al costo del servizio il “parametro ampliato” (I.S.E.E. familiare), nei confronti delle persone anziane malate croniche, non autosufficienti,  i Comuni riducono il proprio intervento e provocano l’impoverimento delle famiglie.

Secondo la nostra convinzione,  tutto ciò non è dovuto al “vuoto normativo”, ma è causato dauna falsa cultura familistica” (…”dove non arrivano i genitori, devono arrivare i figli, i nipoti, i fratelli, le sorelle”…).

Ma tant’ è.

La relazione continua sulla sua falsa riga con un  ragionamento non condivisibile, sostenendo che la nuova legge tende a colmare il “vuoto normativo” e a fornire “chiari ed univoci criteri ai Comuni” per l’integrazione delle rette/tariffe.

Sono  dieci i criteri   indicati nelle lettere dalla a) alla J), del comma 2, art.1 della  nuova legge.

Vi si afferma che tali criteri  vengono assunti “…nel rispetto dei principi della normativa statale in materia di indicatore della situazione economica equivalente (I.S.E.E.)…”.

Altresì,  si afferma che essi valgono tanto per la “…compartecipazione al costo delle prestazioni sociali…” (unità d’offerta del welfare socio-assistenziale), quanto per la “…compartecipazione a valenza sociale delle prestazioni sociosanitarie…”.

E’ fuori di ogni dubbio che la seconda forma di compartecipazione, ovvero quella “…a valenza sociale delle prestazioni sociosanitarie…” , riguardi la retta o la tariffa posta in capo alle persone utenti, che stanno attuando un percorso assistenziale integrato di natura sociosanitaria.

I L.E.A. devono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale

La normativa dello Stato stabilisce che la retta o la tariffa che l’utente non è in grado di pagare  per intero,  deve essere integrata dal Comune di residenza dell’utente stesso (DPCM 14 febbraio 2001; DPCM 29 novembre 2001, tab.1C).

Ebbene, i 10 criteri, che la Regione Lombardia intende introdurre con la legge n. 2/2012, sono impugnabili avanti la giustizia amministrativa, allorchè vengano applicati alle prestazioni erogate nelle unità d’offerta rientranti nei Livelli Essenziali di Assistenza – L.E.A. sociosanitaria (Cfr. i citati DPCM).

Infatti, i criteri della nuova legge regionale, qualora vengano applicati alle persone ammesse alle cure domiciliari (A.D.I. – S.A.D.), o alle persone che usufruiscano dei servizi socio-riabilitativi diurni (C.D.I., C.D.D.), o a quelle ricoverate nelle strutture residenziali a ciclo continuativo (R.S.A., R.S.D., C.S.S.) altererebbero le condizioni di accesso alle prestazioni L.E.A., condizioni che, unitamente alle prestazioni stesse, devono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale (Cfr. art. 117 Cost., secondo comma, lettera m)).

La discriminazione degli anziani non autosufficienti

In particolare, ci riferiamo al criterio indicato alla lettera g), secondo comma, art.1, dell’articolato di legge, che recita: ---“valutazione della situazione reddituale e patrimoniale della persona assistita, del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado nel caso di accesso ad unità di offerta residenziali per anziani e ai centri diurni integrati”.

Il riferimento agli “anziani”, senza la specificazione del requisito della non autosufficienza, farebbe pensare a persone anziane, che usufruiscono di  un’unità d’offerta  appartenente all’area del welfare socio-assistenziale, ovvero a case albergo e a residenze per anziani autosufficienti.

Ma,  essendo la parola “anziani” seguita dalle parole “centri diurni integrati”, che sono un’unità d’offerta appartenenti al welfare sociosanitario, possiamo dedurre che il soggetto “anziani” pecchi di una omissione di scrittura e che si debba, deduttivamente, leggere come “anziani non autosufficienti”.

Quindi, la nuova legge prevede che il concorso al costo del servizio per gli anziani non autosufficienti, sia basato sulla situazione economica non solo dell’utente, ma anche del coniuge e dei parenti, in linea retta entro il primo grado.

Questo disposto della nuova legge regionale  è in evidente contrasto con la normativa dello Stato.

Come abbiamo già ricordato, per la vincolativa normativa dello Stato sono due le tipologie di soggetti chiamati a concorrere al costo del servizio in base alla situazione economica del solo assistito (Decreto Legislativo n. 109/1998, art. 3, comma 2-ter): la tipologia delle persone con disabilità grave e la tipologia delle persone anziane, ultrasessantacinquenni, non autosufficienti.

Ora, la nuova legge regionale ammette al parametro ristretto (I.S.E.E. del solo utente) le persone con disabilità grave e, da tale parametro, esclude le persone anziane non autosufficienti.

La Lombardia ha copiato dalla Toscana

Su questo argomento, la legge regionale n. 2/2012 presenta aspetti di  identità  con la Legge regionale della Toscana n. 66/2008 (art.14).

Possiamo affermare che la nostra Regione ha “copiato” il  testo della nuova legge, che stiamo commentando, da quello della regione Toscana.

Sta di fatto che sulla analoga legge della regione Toscana, in merito alla questione di cui stiamo parlando, è pendente un giudizio  di costituzionalità.

Sulla legge della Toscana deve pronunciarsi la Corte Costituzionale

Infatti, il TAR per la Toscana, nell’esaminare la causa di cui al ricorso n. 00028/2011, ha emesso una Sentenza non definitiva“…per la quale si pone pregiudizialmente la soluzione della questione di costituzionalità prospettata da parte ricorrente ritenuta dal collegio rilevante e non manifestamente infondata (NDR. Il grassetto è nostro) come da separata ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale…”  (Cfr. Ordinanza n. 01795/2011 del T.A.R. per la Toscana, Sezione Seconda).

In conclusione, si può affermare che i 10 criteri della legge regionale della Lombardia n. 2/2012, per un verso non rispettano la normativa statale in materia di Indicatore della Situazione Economica Equivalente (I.S.E.E.); per un altro verso, non forniscono  “chiari e univoci criteri ai Comuni”; addirittura, contengono elementi di costituzionalità non manifestamente infondati.

I Comuni devono promuovere un’indagine conoscitiva nelle R.S.A./R.S.D.

A nostro avviso, i Comuni , che lamentano la carenza di fondi da destinare alle persone fragili, sono tenuti a promuovere un’indagine clinico-sanitaria delle persone più gravi ricoverate nelle R.S.A./R.S.D..

Ciò, al fine di appurare se le prestazioni esigite dagli anziani più gravi, in costanza di ricovero nelle R.S.A., nonché quelle erogate alle persone con disabilità grave, ricoverate nelle R.S.D., siano da comprendere  fra quelle ad elevata integrazione sanitaria, essendo caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica ed intensità della componente sanitaria.

A questo proposito, i Comuni devono tenere presente che la vigente normativa (Decreto Legislativo n.502/1992, art.3 septies, comma 5 e D.P.C.M. 14 febbraio 2001) suddivide le prestazioni sociosanitarie in

-        Prestazioni sociali a rilevanza sanitaria;

-        Prestazioni sanitarie a rilevanza sociale;

-        Prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria.

I Comuni devono tener presente che queste ultime prestazioni sono a totale carico del fondo sanitario regionale.

L’indagine che proponiamo, qualora fosse attuata, risulterebbe nell’interesse economico non solo delle persone assistite, ma anche delle Amministrazioni Comunali.

Più precisamente, i Comuni, per le  persone richiedenti  le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, ricoverate nelle R.S.A./R.S.D., devono rifiutarsi di integrare le rette, chiamando in causa l’ A.S.L. per la solvibilità totale del ricovero.

La vergognosa regressività dell’A.N.C.I.

L’ A.N.C.I. Lombardia, in merito alla legge regionale n. 2/2012, ha fatto pervenire una comunicazione ai Sindaci,  nella quale ha espresso la sua preoccupazione per l’esclusione dell’indicatore ISEE familiare nel calcolo della compartecipazione alle spese di assistenza, in quanto parametrate sul reddito della sola persona disabile grave.

Così, risulta chiarissima la posizione dell’A.N.C.I.: l’associazione dei Comuni si lamenta con la Regione Lombardia.

Vorrebbe che tutte le persone,  ivi compresi i disabili gravi, concorressero al costo dei servizi in base alla situazione economica del nucleo familiare di appartenenza.

In altri termini, l’ANCI  non si muove nel senso di chiedere maggiori risorse economiche allo Stato, affinchè, nel rispetto della normativa sui Livelli Essenziali di Assistenza, i Comuni siano  sostenuti nel rispondere ai diritti ed alle esigenze delle persone fragili.

No, l’ANCI, con la sua comunicazione evidenzia una posizione ancora più regressiva della regione Lombardia.

Prendendo atto delle attuali difficoltà economiche, l’ANCI vorrebbe che i Comuni infrangessero la normativa, sia per gli anziani che per i disabili !

La nuova legge passerà attraverso un anno di sperimentazione

Le modalità di applicazione dei criteri costituiranno l’oggetto di sperimentazione nel primo anno di applicazione della nuova legge regionale .

Inoltre,  nel primo anno di sperimentazione, verranno individuati i Comuni partecipanti e il campione delle Unità d’Offerta, su cui applicare, ante litteram, i nuovi criteri dell’I.S.E.E. regionale.

Al termine della sperimentazione, con apposita Deliberazione della Giunta Regionale, la Legge  estenderà i suoi effetti su tutti i Comuni.

Un nuovo modo di computare la quota a carico del fondo sanitario

Sostituendo il dettato dell’art.11, comma 1, lettera K) della Legge Regionale n.3/2008, nonché integrando il dettato dell’art.16, comma 5 della Legge medesima, la Regione, con la nuova Legge  regionale, determinerà i costi standard di esercizio delle Unità d’Offerta sociosanitarie che erogano prestazioni a carico del fondo sanitario.

A proposito del “Fondo regionale di parte corrente per le unità d’offerta sociosanitarie”, l’art.24 della Legge Regionale n. 3/2008,  che affronta tale materia, viene integrato da un nuovo comma con la legge n. 2/2012.

Si tratta del comma 2 bis, che recita: “Il finanziamento delle prestazioni ricomprese nei livelli essenziali di assistenza erogate dalle unità di offerta sociosanitarie con oneri a carico del fondo sanitario è determinato per tipologia di unità d’offerta sulla base dello standard regionale di accreditamento, delle condizioni di salute della persona assistita e dei criteri di cui all’art.8, comma 2”.

Francamente, questo dettato non è di facile interpretazione.

Possiamo supporre che si tratti del contratto in atto fra l’ente erogatore di unità d’offerta sociosanitarie (R.S.A., R.S.D.,C.S.S.,C.D.I., C.D.D.), che agisce in regime di accreditamento istituzionale, e l’A.S.L. competente per territorio.

Attraverso tale contratto viene definita la quota sanitaria per ciascuna persona utente.

Ora, i fattori variabili della quota sanitaria sono due: la tipologia dell’Unità d’ Offerta e la classificazione di gravità della persona utente.

Con l’integrazione di cui si tratta, entrerebbe in campo un terzo fattore variabile: L’A.S.L. terrebbe conto anche dei criteri I.S.E.E., che connotano la condizione di ciascuna persona utente.

Se così non fosse, potremmo esprimere una valutazione più appropriata, su questa nuova metodologia, quando avremo qualche ulteriore e più analitica informazione.

Comunque, ciò che, fin d’ora, può essere legittimamente rivendicato dagli utenti  alla Regione, nel momento in cui  si pone in atto la revisione del modo di computare la quota sanitaria, è il rispetto della vincolativa normativa statale.

Una volta per tutte, deve essere tradotto sul piano operativo quanto è stabilito nel DPCM 14 febbraio 2011 e nel DPCM 29 novembre 2001:

-        La quota sanitaria deve essere pari al 70% del costo complessivo per le unità d’offerta riguardanti le persone con disabilità grave;

-        La quota sanitaria deve essere pari al 40% del costo complessivo per le unità d’offerta riguardanti le persone con disabilità grave, prive del sostegno familiare (C.S.S.)

-        La quota sanitaria deve essere pari al 50% del costo complessivo per le unità d’offerta riguardanti le persone anziane non autosufficienti.

Oggi, la computazione della quota a carico del fondo sanitario regionale, in Lombardia, è ben lontana dal rispettare le percentuali qui sopra richiamate.

Sta di fatto che, oggi, una parte della retta delle unità d’offerta residenziali è addossata illegittimamente agli utenti, in quanto si riferisce non alla componente “alberghiera”, ma alla quota sanitaria.

Deve essere superato il contratto d’ingresso

Nella nuova legge regionale si afferma che i gestori devono assicurare massima trasparenza circa le rette applicate e devono fornire informazioni sull’accesso a “contributi pubblici” o a forme di integrazione economica.

Inoltre, si aggiunge che la Giunta Regionale, al fine di assicurare uniformi modalità di ingresso, predisporrà schemi –tipo di contratto di ingresso alle unità d’offerta sociosanitarie accreditate.

A questo proposito vogliamo esprimere la nostra posizione contraria all’istituto del contratto d’ingresso ,  stipulato fra l’utente (e i parenti, in veste di garanti)

Gli enti gestori delle R.S.A. sono, nella maggioranza del casi, soggetti dotati di personalità giuridica di natura privata (fondazioni, cooperative sociali di tipo “A”…).

Essi, però, agiscono in regime di accreditamento istituzionale e stipulano un contratto con l’A.S.L. competente per territorio.

In relazione a ciò, tali enti gestori, dovrebbero essere considerati alla medesima stregua degli enti pubblici, che gestiscono strutture pubbliche.

E’ rilevante il fatto che le persone assistite nelle R.S.A. compiono un percorso assistenziale integrato di natura sociosanitaria a ciclo residenziale continuativo.

Tale percorso rientra nei Livelli Essenziali di Assistenza, che devono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale. Dunque, le persone utenti, ivi ricoverate, dovrebbero avere il diritto di essere assistite indipendentemente dal fatto che siano o meno in grado di pagare la retta.

Per la persona anziana non autosufficiente, il ricovero nella R.S.A. è un diritto esigibile, così come è un diritto esigibile il ricovero in ospedale (Cfr. DPCM 29 novembre 2001, tab. 1/C; Legge n. 289/2002, art. 54).

Da ciò discende che, nel caso in cui venga richiesto alla persona utente il pagamento della retta, esso dovrebbe avvenire senza che, necessariamente, si instauri  un rapporto contrattuale fra la persona stessa e l’ente gestore.

Il concorso al costo del servizio da parte della persona utente deve essere attuato nei confronti del Comune di residenza, il quale, nel caso di incapienza economica dell’utente, è tenuto ad integrare la retta.

Pertanto, sosteniamo la tesi che dovrebbe essere abolito il contratto d’ingresso, ora  richiesto dall’ente gestore alla persona utente e, illegittimamente, ai suoi  parenti.

Rimarrà attivo il movimento dei diritti delle persone assistite e dei loro parenti

La nostra voce si è aggiunta al coro delle altre espressioni critiche, nella lunga fase dell’esame della legge da parte della Commissione III^ consiliare regionale.

In base  a quanto abbiamo qui osservato, i risultati sono stati  negativi, per la pervicace volontà della Regione Lombardia di adottare un provvedimento  da rigettare, sotto il profilo sia sociale che giuridico.

Non siamo avviliti e scoraggiati. Per converso, siamo più che mai determinati nel fare sentire il peso delle nostre convinzioni. Non mancheranno  nuove occasioni, nelle quali faremo ricorso alla magistratura contro gli atti amministrativi discendenti dalla legge n. 2/2012.

Ma, ancora più rilevante sarà la nostra azione sui versanti della sensibilizzazione politica della popolazione e della proposta per un assetto di tutela della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale, dell’indipendenza  delle persone  con disabilità grave, nonché delle persone malate croniche non autosufficienti (Convenzione di New York, 2006) .

Walter Fossati

Aderiscono al Commento: