Richiami e considerazioni alle sentenze TAR Lombardia 1570 e 1571

 

(Commento ddel prof. Walter Fossati)

 

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

 (Sezione Terza)

 Sentenza N. 01570/2013 del 9 aprile 2013, depositata in  Segreteria il 17 giugno 2013

 (soccombente: Comune di Vignate)

 Oggetto del ricorso: spesa di mantenimento di persona con disabilità grave in struttura protetta

 Alcuni richiami della sentenza

1.- La sentenza, per quanto concerne l’individuazione dei soggetti  tenuti al pagamento delle spese di ricovero di persone con disabilità grave, richiama il recente pronunciamento della Corte Costituzionale.

La Corte, con la sentenza n. 296/2012, ha sancito che sussiste una competenza legislativa regionale in materia; ciò, fino alla definizione dei  Livelli Essenziali  di Assistenza Sociale – LIVEAS da parte dello Stato.

2.- Il T.A.R. ha  osservato che la competenza regionale è giustificata dall’esigenza di assicurare (garantire) le prestazioni sociali al più ampio numero possibile di anziani non autosufficienti (in attesa dei LIVEAS), stante la progressiva riduzione degli stanziamenti del fondo (nazionale) per le non autosufficienze.

3.- Ora, dice il TAR nella sentenza, non può essere applicato il principio generale di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, in quanto la Corte Costituzionale, con la predetta sentenza, ha escluso che l’art. 3, comma 2-ter del Decreto Legislativo n. 109/1998 costituisca un livello essenziale delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

Quindi, la situazione del ricorrente al T.A.R. resta disciplinata dalla Legge Regionale (Legge Regionale n. 3/2008, art. 8, lettera h).

4.- Il T.A.R. afferma che le unità d’offerta residenziali e semiresidenziali per persone con disabilità grave o anziane non autosufficienti hanno un CARATTERE OBBLIGATORIO PER IL COMUNE.

Secondo il T.A.R., da ciò discende che:

a)      il Comune non può subordinare l’erogazione del servizio alla preventiva contribuzione da parte dei privati;

b)      è illegittimo il provvedimento di cessazione o riduzione del servizio, qualora l’utente non corrisponda al pagamento della quota a suo carico.

Sta di fatto, che l’attuale prassi di accesso al servizio residenziale (R.S.A./R.S.D.) e semiresidenziale (C.D.I./C.D.D.) è ben lontana dalla traduzione operativa prevista dalla sentenza.

 

Considerazioni sull’attuale prassi di ammissione alla struttura protetta

Partendo dall’asserto della sentenza (punto 3.4. della parte motivazionale: “…essendo un servizio di carattere obbligatorio per il Comune…”), il procedimento amministrativo per l’ammissione alla struttura protetta della persona con disabilità grave, o anziana non autosufficiente, dovrebbe vedere il Comune coinvolto, per le sue specifiche competenze, molto più di quanto, ora,  non avvenga, in Lombardia.

Oggi, i  parenti, che agiscono in nome della persona assistibile, quando ritengono di non potere più avvalersi delle cure domiciliari, per l’impossibilità, mediante tale forma di assistenza, di corrispondere ai bisogni vitali e primari della persona stessa, si rivolgono agli enti gestori delle strutture residenziali sociosanitarie (R.S.D./R.S.A.), avanzando la richiesta di ricovero a ciclo continuativo.

L’ente gestore, qualora  non abbia posti liberi nella residenza, mette il richiedente in lista di attesa.

Viceversa, nei casi di  posti disponibili, l’ente verifica e classifica clinicamente lo stato di salute del richiedente, il suo grado di non autosufficienza (classificazione SOSIA) o di disabilità grave (classificazione SIDI) e procede al ricovero della persona.

L’ente gestore affronta la questione economica del ricovero, proponendo alla persona assistita e ai suoi parenti di farsi carico della retta, per la quota cosiddetta “alberghiera”, che, in realtà, comprende anche una parte della quota sanitaria, non coperta dalla Regione (Fondo Sanitario Regionale).

Quindi, nell’attuale prassi, attraverso il rapporto contrattuale, che si instaura fra l’ente gestore del servizio e la persona assistibile (in condizione di totale soggiacenza e subalternità), la funzione del Comune rimane in ombra.

Il Comune, semmai, verrà chiamato in causa successivamente, nei casi in cui le persone assistite e i loro parenti (in veste di garanti nella stipulazione del contratto con l’ente gestore) si trovino in una situazione di ristrettezza economica, tale da non essere più in grado di far fronte, integralmente, al pagamento della retta.

In quei casi, essi si rivolgeranno ai servizi sociali comunali, richiedendo all’Amministrazione Comunale un aiuto economico, sotto la forma di integrazione della retta di ricovero.

Nell’attuale prassi, i regolamenti comunali prevedono l’intervento del Comune, derubricando l’obbligo di legge nell’atto di concessione di un contributo, la cui erogazione è condizionata dalla disponibilità del bilancio comunale, nonché dalla previsione di intervento disancorato  dai vincoli della normativa di rango superiore (leggi e atti amministrativi dello Stato).

Dunque, i Comuni, nel loro agire concreto, sono ben lontani dall’attuazione di un servizio obbligatorio, così come richiama la sentenza.

Non c’è chi non veda che il servizio obbligatorio per il Comune debba essere esperito con un modello procedimentale sensibilmente diverso da quello ora in atto,  sopra tratteggiato.

 

Un servizio obbligatorio per il Comune: procedimento amministrativo diverso dall’attuale prassi 

Il Comune deve essere informato dall’ente gestore fin dal momento in cui la persona assistibile richiede di essere ricoverato (nella struttura residenziale) o di poter  usufruire del servizio semiresidenziale.

L’obbligo di informazione è contemplato dalla Legge Regionale n. 3/2008, art. 8, comma 3:   deve essere rispettato dagli enti gestori.

Il contratto di ingresso preteso dall’ente gestore e stipulato con la persona assistita e con i suoi parenti (in veste di garanti) deve essere abbandonato.

La persona assistita, con il supporto di chi ne cura gli interessi (tutore, curatore, amministratore di sostegno),  deve assumere come primo interlocutore il Comune, al quale deve rendere nota la sua esigenza di ricovero/fruizione del servizio al Comune.

Il Comune è tenuto a convalidare (o meno) l’esigenza del ricovero o la fruizione del servizio semiresidenziale, attraverso l’intervento della Unità di Valutazione Multidimensionale – U.V.M..

Il Comune sottopone alla persona l’elenco delle Unità d’Offerta convenzionate, appartenenti all’area sociosanitaria, che operano in regime di accreditamento istituzionale con la Regione.

Il Comune verifica la condizione economica della persona assistibile (prova dei mezzi = I.S.E.E.) e la orienta nella scelta dell’unità d’offerta.

Il Comune pattuisce con l’ente gestore la copertura della retta, sia con il proprio apporto economico (per la quota non sanitaria), sia mediante la quota versata dalla persona assistibile.

Come dice la Sentenza  N. 01570/2013 del T.A.R. per la Lombardia, la quota mensile per le spese personali della persona ricoverata non può essere predeterminata con carattere di generalità per tutti.

Essa deve essere attentamente vagliata dagli uffici comunali, in relazione ai dati forniti dalla famiglia, in merito alle esigenze personali della persona assistita.

Chi deve concorrere al costo del servizio ?

Dice la sentenza del T.A.R.  che, per quanto attiene alle persone con disabilità grave, ai sensi della Legge Regionale n. 3/2008, art. 8, lettera h),  il Comune non può richiedere un contributo a soggetti diversi dalla persona assistita, la quale è tenuta a concorrere al costo del servizio in base alla propria situazione reddituale e patrimoniale.

  

Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

Sentenza N. 01571/2013 del 9 aprile 2013, depositata in  Segreteria il 17 giugno 2013

(soccombente: Comune  di Valmadrera)

 Oggetto del ricorso: impugnativa della richiesta del Comune rivolta ai genitori di contribuire al pagamento della retta dei figli con disabilità grave, ricoverati in struttura protetta

Alcuni richiami della sentenza e considerazioni

La sentenza riprende due motivi già espressi nella sentenza N. 01570/2013.

Il primo motivo si integra nell’impossibilità del Comune, per le persone con disabilità grave, di richiedere un contributo a soggetti diversi da quelli dettati dalla Legge Regionale n. 3/2012, ovvero diversi dalla persona assistita.

Il secondo motivo è rappresentato dal richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n. 296/2013.

Come già detto, la  sentenza della Corte sancisce che non può essere applicato il principio generale di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, in quanto viene escluso che l’art. 3, comma 2-ter del Decreto Legislativo n. 109/1998 costituisca un livello essenziale delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

Quindi, la situazione del ricorrente al T.A.R. resta disciplinata, al momento, dalla Legge Regionale (Legge Regionale n. 3/2008, art. 8, lettera h).

Infine, nella sentenza N.01571/2013, il T.A.R. ammette la legittimità della richiesta dell’I.S.E.E. avanzata dagli enti erogatori, al momento della richiesta di una prestazione sociale agevolata, individuando, con ciò, l’arco delle persone cui fanno capo doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile,  connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza.

Questa sentenza, per il ridotto numero di quesiti posti in essere dalla parte attrice, non presenta particolari argomenti di considerazione, oltre a quelli  già esposti per la sentenza N. 01570/2013, sopra richiamati.

 

(Walter Fossati, 24 giugno 2013)