I PERVERSI EFFETTI DELLA LEGGE SULL’AUTISMO

Perché il testo approvato dal Parlamento minaccia i diritti delle persone con autismo e limitata o nulla autonomia, grazie ad un clamoroso assist delle associazioni di (presunta) tutela dei loro diritti.

Andrea Ciattaglia

“Chi ha paura dello sparviero?” gridavano i bambini in un popolare gioco nelle palestre delle scuole tentando di prendere e di unire alla propria schiera altri bambini con i quali intrappolare altri giocatori scampati ai successivi assalti. “Nessuno!” rispondevano, correndo incontro allo sparviero formato dalle braccia unite dei bimbi già presi, i sempre meno rimasti liberi, che inevitabilmente si assottigliavano fino all’ultimo  giocatore. Ecco, “chi ha paura della legge sull’autismo?”. “Nessuno!” rispondono in coro le associazioni da Nord a Sud che del tema si occupano. Ma non vedono che stanno finendo dritte tra gli artigli dello sparviero?

Andiamo con ordine: le prestazioni socio-sanitarie a casa, semi-residenziali (al centro diurno), residenziali (preferibilmente in comunità alloggio di tipo famigliare da massimo 8-10 posti inserite nel normale contesto abitativo) sono garantite dai Livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e articolo 54 della legge 289/2002) per le persone con autismo e limitata o nulla autonomia (e, come per loro, anche per le persone non autosufficienti con disabilità intellettiva grave, con patologie psichiatriche, anziani malati cronici non autosufficienti, persone colpite da demenza senile). Per tutte loro, così come per tutti gli altri cittadini, è sempre garantito dalla legge (833/1978 e ancora articolo 54 della legge 289/2002) la presa in carico a totale carico della Sanità nel caso di necessità di prestazioni intensive o estensive.

Perciò una legge nuova sul diritto alle cure e alla presa in carico sanitaria e socio-sanitaria dedicata alle persone con autismo, non serviva (e nemmeno è stata fatta, poiché il testo di legge approvato dal Parlamento non ha questo scopo)... C’è già! La qualità dei servizi e le prestazioni “cucite” su misura dei singoli casi sono richieste ed esigenze legittime e condivisibili delle famiglie che hanno un loro parente colpito da autismo, ma per essere stabili ed affidabili devono seguire sempre a ruota un diritto esigibile. Prima il diritto, poi tutto il resto, così come prima ci sono lo scavo e le fondamenta e poi tutta la casa. Le affermazioni declamatorie sulla qualità dei servizi, e persino i servizi che funzionano, senza la garanzia del diritto alla base sono come case senza fondamenta, cadono al primo girar di vento, di solito a riflettori spenti. La maggior parte delle “conquiste” sbandierate dai rappresentanti delle associazioni di persone colpite da autismo e dai (tanti!) politici che hanno commentato entusiasticamente il nuovo testo di legge son cose, mi pare, risolvibili con protocolli tra aziende sanitarie ed Enti locali, questioni di decisioni operative che certo possono anche essere affrontate anche a livello nazionale, ma nulla hanno a che fare con uno strumento d’impostazione generale e di definizione dei diritti come la legge. Se si dovesse per ogni malattia o causa di disabilità, entrare nello specifico ogni volta con una legge, omettendo e di fatto negando che le leggi che tutelano tutte le persone con disabilità e tutte le persone malate già ci sono, stiano tranquilli i nostri Parlamentari: avrebbero lavoro per altre tre generazioni.

Il punto nodale del testo è, allora, un altro. Che cosa c’è di così vincolante nella legge sull’autismo da renderla in un certo senso indispensabile per chi tenta di affossare il diritto alle prestazioni? Che novità introduce questo testo, da stabilirle così con forza tramite lo strumento della legge, perché in quella dei Lea non c’erano? Non sono buone notizie. Anzi, sono pessime. Perché il testo di legge sull’autismo introduce due “fregature” palesi (evidenti a chi di queste materie si occupa con serietà e competenza, e vista la situazione e il livello di negazione dei diritti attuale è l’unico modo a mio avviso di occuparsene, con una competenza elevatissima e metodi certosini di analisi e riflessione sui provvedimenti).

Primo: il riferimento al Patto per la salute 2014-2016 , contenuto nell’articolo 3 del testo di legge, le cui norme stabiliscono che le prestazioni dell’area socio-sanitaria «sono effettuate nei limiti delle risorse previste» e che «le Regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l’integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, socio-sanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell’età evolutiva, dell’assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle Asl ed agli altri enti del Sistema sanitario regionale per l’erogazione congiunta degli interventi nei limiti delle risorse programmate per il Servizio sanitario regionale e per il Sistema dei servizi sociali per le rispettive competenze».

Secondo: l’articolo 6 del testo sull’autismo approvato dal Parlamento “Clausola di invarianza finanziaria” stabilisce: «Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente». Quindi nemmeno un nuovo operatore assunto o un euro in più speso per prestazioni, campagne informative, interventi...

Il perverso effetto di queste norme è facilmente immaginabile. Chi potrà dare torto, nel momento in cui la famiglia chiederà in base alla nuova legge sull’autismo una prestazione sanitaria o socio-sanitaria (che potrebbe per esempio prevedere l’assunzione di un educatore, la formazione di un neuropsichiatra, la frequenza di un centro diurno o il ricovero in comunità in base ai Lea), alle Asl ed ai Comuni che rifiuteranno la prestazione e si trincereranno dietro l’impossibilità di aumentare gli oneri della finanza pubblica? Oppure, anche nel caso di richiesta di una prestazione socio-sanitaria senza maggiori oneri rispetto a quelli “storici”, che motiveranno il loro “no” con il riferimento al “Patto per la salute”, sostenendo che non hanno ricevuto abbastanza risorse disponibili?

Alle associazioni che hanno fatto pressione per l’ottenimento di un tale testo di legge potrebbero facilmente replicare:  “L’avete voluto voi…, adesso lo contestate?”. Avete gridato “Nessuno!” e vi stupite se finite tra gli artigli dello sparviero?

Per scampare alla soffocante presa della nuova legge – se verrà purtroppo firmata dal Presidente della Repubblica – le organizzazioni che intendono tutelare effettivamente le esigenze ed i diritti delle persone con autismo devono assumere come riferimenti per richiedere e ottenere le prestazioni la legge 833/1978 e le vigenti norme sui Livelli essenziali delle prestazioni (Lea) ed occorre porre – se del caso – la questione del diritto delle persone con autismo a non essere discriminate dalle altre persone con disabilità grave, per quanto concerne le prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali, com’è stabilito (ecco la competenza e la cura certosina della ricerca di strumenti di difesa dei diritti cui si accennava prima) dall’articolo 3 della Costituzione, dal sopracitato articolo 1 della legge 833/1978, dal decreto legislativo 286/1988, dalla Convenzione dell’Unione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con la legge 848/1955, nonché dalla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione approvata a New York il 7 marzo 1966, ratificata dal nostro Paese con  la legge n. 654/1975.

Mentre compete alle associazioni di tutela ricorrere contro i decreti ministeriali e le delibere delle Regioni e dei Comuni, le persone interessate possono rivolgersi al Giudice del lavoro, se del caso sostenendo – altra effetto perverso del caso! – l’anticostituzionalità delle norme del testo in esame contrastanti con la legge 833/1978 ed i Lea.

 

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